Il Metodo Feldenkrais nella pratica consente di modificare e migliorare il nostro movimento fisico: facilità di esecuzione, precisione, ampiezza, velocità, coordinazione o anche tutte queste caratteristiche insieme.
Praticando il Metodo, si scopre poi che molto dipende dalla intenzione della persona e dalla disponibilità del corpo nel suo insieme.
Migliorare la precisione del movimento della braccia, può essere diverso per una persona che lavora ogni giorno al computer piuttosto che per uno sportivo che pratica l’alpinismo, anche se entrambi possono beneficiarne, ognuno secondo la propria disponibilità e intenzione.
In genere ottenere un primo cambiamento o miglioramento del movimento non è difficile e spesso la persona che prova il Metodo Feldenkrais dopo poche lezioni (sessioni di gruppo o individuali) percepisce un cambiamento e un miglioramento inequivocabili.
E già questo primo risultato è certamente un dato positivo.
La questione con il corpo però non è tanto cambiare o migliorare, quanto mantenere nel tempo il cambiamento o il miglioramento che si è raggiunto.
Perchè un cambiamento o un miglioramento si mantenga nel tempo, esso deve infatti divenire una (nuova) abitudine per la persona.
Questo perché noi non possiamo mantenere il nostro controllo consapevole sui movimenti del corpo per molto tempo.
Questo fatto dipende dal funzionamento fisiologico del nostro sistema nervoso: nessuno può vivere mantenendo la propria attenzione/consapevolezza (ad esempio) rivolta al proprio piede destro per tutto il giorno.
Nel migliore dei casi dopo qualche minuto la nostra attenzione si sposterà spontaneamente ma decisamente verso qualche altro aspetto della realtà, interna (corpo, pensieri, emozioni, sensazione) oppure esterna (vista, udito, tatto, gusto, olfatto).
Il nostro sistema nervoso quando funziona bene, muove infatti la nostra consapevolezza in modo fluido, anche spostandosi dal generale al particolare in continuazione, per permetterci di gestire momento per momento la nostra attività quotidiana nel migliore dei modi.
Si tratta di un movimento spontaneo, sano ed efficace che evita che la nostra attenzione si fissi per troppo tempo su un oggetto, evitando il rischio che nel frattempo ci sfugga qualcosa di pericoloso (o di interessante) nell’ambiente circostante.
Quando però un movimento del nostro sistema nervoso, pur essendo utile diventa ripetitivo e ben conosciuto, allora si crea un percorso abituale per una parte della nostra consapevolezza molto profonda e così si forma una abitudine.
Ad esempio, normalmente noi non pensiamo a come stare in equilibrio su due piedi: lo abbiamo imparato anni fa, è una attività certamente utile ma ripetitiva e così si è formata una abitudine nella gestione dell’equilibrio del nostro corpo, quella abitudine che poi chiamiamo “postura” in termini di risultato.
In questo modo l’abitudine del sistema nervoso ci fa risparmiare consapevolezza, energia e attenzione che possiamo dedicare ad altro. E’ un processo naturale e fisiologico.
Come esseri umani però la nostra consapevolezza/attenzione è abbastanza limitata in quantità e qualità rispetto alle attività del nostro attuale quotidiano.
Considera che la vita di una persona nel presente, oggi, è molto più complicata e impegnativa rispetto a quella di un essere umano di due o trecento anni fa; ad esempio, guidare un’auto ai 50 all’ora in città è più complicato per il nostro sistema nervoso rispetto a com’era condurre un cavallo su una strada di campagna nel 1800.
Non è questa la sede adatta perciò mi limiterò solo a nominare altri aspetti che oggi complicano il lavoro del nostro sistema nervoso: internet, telefono, smartphone, computer, email, coinvolgimento sociale, lavoro, salute, viaggiare, salire in aereo, guidare, etc..
E poi come ho detto c’è anche la tendenza naturale del sistema nervoso a creare delle abitudini nel tentativo di risparmiare energia e fatica.
Quindi quando cerchiamo di realizzare un cambiamento o un miglioramento del nostro movimento, in realtà stiamo cercando di modificare una di queste “abitudini” che il nostro sistema nervoso ha creato con lo scopo di aiutarci e di farci risparmiare attenzione, consapevolezza ed energia per poterle rivolgere a cose più importanti.
In questa prospettiva, cambiando o migliorando stiamo però anche interferendo con la tendenza naturale e spontanea del nostro sistema nervoso.
E questo avviene – semplificando – perché il sistema nervoso non ama affatto cambiare ma anzi, in un certo senso è un cercatore di invarianza cioè è sempre alla ricerca delle cose costanti, che non cambiano nel tempo.
E questo fatto oggettivo ha molte implicazioni naturalmente, su molti piani dell’esistenza umana (c’è anche una canzone famosa che dice a proposito del fatto che il vero paradiso per gli esseri umani è un posto dove niente cambia mai e tutto resta uguale a sé stesso, costante).
Proprio su queste osservazioni e sugli approfondimenti e gli studi di Feldenkrais in relazione al funzionamento fisiologico del sistema nervoso, si basa il Metodo da lui messo a punto, unico secondo me per efficacia e diverso da ogni altra modalità di miglioramento dell’essere umano.
Feldenkrais infatti comprese e poi codificò nel Metodo, un modo per dialogare con il sistema nervoso utilizzando il giusto linguaggio per ottenere la modifica delle abitudini non più utili alla persona e con questo per giungere al cambiamento e al miglioramento potendoli poi mantenere nel tempo, senza interferire con i naturali processi neurologici e cioè in ultima analisi senza innescare resistenze e senza interferire con essi.
Ecco quindi alcune delle condizioni di base affinché un cambiamento avvenga e poi permanga nel tempo, cioè venga integrato dalla persona.
1. Il cambiamento deve essere sperimentato dalla intera persona, fisico, pensiero, emozione, sensazione, immagine.
2. Il cambiamento deve essere cercato, percepito, compreso ed accettato.
3. Il cambiamento deve avere successo, cioè deve generare un vantaggio funzionale percepibile.
4. Il cambiamento deve essere confermato dalla ripetizione, quel tanto che è necessario al formarsi di una nuova abitudine.
Alcune (se non tutte) queste condizioni sono ovvie, naturalmente e proprio per questo direbbe Feldenkrais che sono elusive, cioè si nascondono alla nostra vera comprensione e sono in realtà questioni e temi molto più ampi, profondi e delicati di come appaiono a prima vista.
Faccio un solo esempio.
Ti sarà capitato di avere dolore in qualche parte del corpo: un piede, un dito, un gomito, la schiena oppure il torcicollo o un fastidio all’anca o al ginocchio.
Ricorderai forse un’occasione in cui per questo dolore hai chiesto aiuto ad un medico, ad uno specialista forse o al farmacista, ad un fisioterapista, ad un osteopata oppure ad un fisiatra o anche ad un amico massaggiatore o magari ad una riflessologa o ad un altro operatore.
Probabilmente ti sarà capitato di aver risolto il problema con quell’aiuto: dolore scomparso subito o nel giro di poco tempo, tutto bene quindi, ottimo.
E poi forse ricorderai che quel dolore nel tempo magari si è ripresentato, identico, nello stesso punto, anche di intensità diversa ma con la stessa qualità.
Perciò la domanda è: perché quel cambiamento/miglioramento che aveva fatto sparire il dolore poi non è durato nel tempo?